Come si salva una vita? La storia di Joseph, maestro di tamburi

Come si salva una vita?, si è chiesto il nostro operatore VIS Gianpaolo. E in Sierra Leone, grazia alla durissima storia di Joseph, ha trovato una risposta. Ecco il suo racconto:

"Come salvare una vita? Una domanda complicata e semplice allo stesso modo, ma se ti viene chiesta a brucia pelo, sapresti cosa rispondere? Non è affatto scontato: il rischio è che si susseguano una miriade di luoghi comuni e frasi fatte

A volte facendo questo lavoro, il cooperante, non hai tempo per respirare; lavori la notte, anche il weekend, soprattutto durante i periodi in cui devi finalizzare una proposta di progetto per un donatore. Così nei miei giorni trascorsi in Angola town, uno degli slum di Freetown, ero impegnatissimo – le cose da seguire erano davvero tante - e spesso trascorrevo il pomeriggi chiuso in stanza a lavorare. La mia amica e collega Marta, invece, mi spronava a prendermi almeno una pausa di un’ora per vedere le attività del centro Don Bosco Fambul per i ragazzi di strada.

Nello slum, dove si trova la residenza salesiana in cui abito, si era già sparsa la voce del mio arrivo; uno dei professori di musica voleva assolutamente che presenziassi ad una sua lezione.

La prima volta ho rimandato, ma la seconda non ho potuto che accettare l'invito.

Conosco così Jospeh, un professore di drums, tamburi. Assisto a tutta la lezione, ammirando rapito i ragazzi che danzavano come libellule al suono del tamburo del maestro. I colori del meriggio si impastavano con la musica, mentre gli spiriti dei ragazzi si stagliavano fra il fango ed il cielo dello slum: ecco un altro momento magico e di riflessione, che mi ha fatto pensare alla storia sanguinosa della Sierra Leone, così in contrasto con la gioia di vivere di quei ragazzi.

Poi ad un tratto la musica finisce e Joseph inizia a raccontarmi la sua storia: con tranquillità, come se niente fosse, schivando abilmente il dolore e la commozione, inevitabili quando si parla della guerra civile che ha devastato il paese negli anni 90.

Jospeh fa l’insegnante di musica presso il centro Don Bosco Fambul, gratuitamente: lo fa perché anche lui è stato un ragazzo di strada orfano, accolto a suo tempo da quest’opera salesiana.

Durante il racconto, mi mostra una vistosa cicatrice al polpaccio; dice che uomini armati entrarono nella sua casa durante la guerra civile e uccisero i suoi genitori, ma lui riuscì a salvarsi, rimediando soltanto una pallottola nel polpaccio.

Dopo quest’avvenimento, che potrebbe portare chiunque di noi alla pazzia o ad abbracciare la vendetta, Joseph ha trovato invece rifugio in Don Bosco Fambul. Lì si è appassionato alla musica e ai tamburi. Ora è un suonatore professionista, conosciuto nel paese e all’estero (l'anno scorso ha addirittura partecipato all’Expo di Milano).

Nei suoi occhi non c’è dolore, non c'è rabbia nel raccontare la sua storia, ma solo gratitudine: da una grande disgrazia, con l’aiuto di quest’opera salesiana, è riuscito a trovare la sua strada, con onestà e fierezza. Dopo aver ascoltato il suo racconto, rimango disarmato.

Probabilmente io non avrei avuto la forza di affrontare tutto questo.

E, probabilmente, mi dico, se Joseph non avesse avuto un aiuto non sarebbe riuscito a lasciarsi alle spalle quel turbine di violenza, odio, dolore e vendetta.

Il tramonto pone fine alla giornata, alla sua storia, al mio tempo nell’atrio, dove i bambini ancora danzavano. Guardo i muri del centro Don Bosco Fambul, e penso a quante storie simili a quella di Joseph sono passate di là, che fortunatamente non hanno attecchito nell’odio, nel male.

Anche in uno slum come Angola town, dove è veramente difficile vedere la bellezza in se, a volte lo splendore esplode più che in un campo di girasoli a luglio.

Attraverso l’arte e la musica Joseph ha trovato la sua strada e continua ad insegnare ai giovani ragazzi dello slum, per ringraziare dell’aiuto ricevuto, per donare speranza a chi non ce l’ha o a chi deve ancora trovare la sua strada. Perché quando il male colpisce, e colpisce forte, nella vita non è facile reagire, non è facile prendere le giuste decisioni; senza un aiuto è veramente difficile uscire dal fango di uno slum.

La storia di Joseph è una storia che va raccontata, perché può dare speranza a chi ora non ne ha e sta combattendo contro i suoi demoni.

Joseph non è emigrato, come tanti dei suoi coetanei a Freetown, ma è rimasto, trovando lavoro grazie alla sua arte e alle sue passioni.

Ma soprattutto è rimasto per i ragazzi del centro salesiano, quei piccoli Joseph, hanno bisogno solo di speranza e di qualche gesto cortese."

Come si salva una vita? Io la risposta ora ce l’ho. Ed è Don Bosco Fambul."

 

Gianpaolo Gullotta

VIS Regional Project Manager – West Africa and Caribbean

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