Seifu, trafficante d’uomini per pagare il suo debito
"Il mio nome è Seifu ed è così che per ripagare il mio debito sono diventato trafficante". Seifu Haile è un collaboratore di giustizia e il racconto che un anno e mezzo fa fece ai magistrati, è lo specchio di quanto i migranti irregolari siano spesso costretti a subire violenze e soprusi.
Seifu racconta di essere partito nel 2013 dall’Eritra, passando per Etiopia, Sudan e Libia: un viaggio per cui aveva pagato 1600 dollari. Durante un trasferimento, nascosto in un container diretto a Tripoli insieme ad altri 200 migranti, venne sequestrato da alcuni miliziani. Il riscatto richiesto di 1200 dolari è ben al di sopra delle possibilità del giovane a cui, a quel punto, viene permesso di contattare un trafficante “Smuggler” che possa fargli da garante.
“Sono stato fortunato che Medhane ha comprato la mia vita, – si legge nella deposizione di Seifu – di tanta gente non si è più saputo nulla a Garabulli, ti torturano fino alla morte o ti rivendono, lascio immaginare a voi cosa fanno alle donne”.
A questo punto però Seifu è gravemente in debito con il trafficante e viene coinvolto a sua volta nel traffico di esseri umani, alla mercè di Mered.
“Mi reclutò e mi diede l’incarico di compilare e confrontare delle liste, in seguito mi affidò anche un telefono che potevo utilizzare solo per ricevere chiamate dai suoi referenti e dai parenti dei migranti. Successivamente Mered, li scarica in un suo computer e da incarico a uno di noi di trascriverli su carta. Il foglio viene poi letto da uno dei tre capi sottostanti a Medhane, che comunicano ai migranti chi ha ricevuto il pagamento dai parenti”.
Ma come è possibile identificare il singolo migrante? Come si fa a capire chi ha pagato e può proseguire e chi no? Di certo non sono i nomi un riferimento univoco.
“Lui (ndr. Mered) non può ricordarsi i nomi dei migranti e non deve dimenticarsi di nessuno, la sua tecnica di contabilità assegna una lettera e un numero al migranti”.
Alle “dipendenze” di questi capi, o generali come a volte vengono chiamati, ben poche sono le persone che autonomamente scelgono di entrare a far parte della rete criminale. La maggior parte di loro sono tanti Seifu, comprati a tutti gli effetti dai trafficanti, dopo aver pagato loro il riscatto per liberarli. Ed è così che nel grande cortile, mezhra, della base dell’organizzazione, Seifu si trova con tanti altri migranti costretti, come lui, a scegliere tra la morte e una vita di semi-schiavitù.
“Come me nella mezrha, c’erano altri migranti obbligati a collaborare con l’organizzazione, chi si occupava della cucina, chi delle pulizie, chi offriva assistenza medica e chi veniva messo a fare la guardia. Rifiutarsi significa scegliere di essere uccisi”.