Bertolazzi, l'oscar dedicato agli immigrati
Ieri si è tenuta la celebrazione dell' 89° Edizione degli Academy Awards. Una kermesse mondana dove però l'arte, il racconto, la verità, la fantasia, i sogni trovano il proprio spazio nelle talvolta sontuose produzioni cinematografiche. Questa notte ci ha colpito il discorso di Alessandro Bertolazzi, vincitore insieme a Giorgio Gregorini e Christopher Nelson dell'ambito Oscar per il miglior trucco con il film "Suicide Squad". Dopo aver ricevuto la statuetta, si è rivolto alla platea con un discorso che, ai consueti ringraziamenti di rito, ha aggiunto una dedica speciale:
"Io sono italiano, questo Oscar è per tutti gli immigrati".
Si perché di immigrati italiani in altri Paesi europei ed oltre Oceano ce ne sono tanti. Persone che come Bertolazzi hanno cercato il proprio futuro altrove. Secondo il rapporto Italiani nel Mondo 2016, infatti, sono oltre 107.000 gli espatriati nel 2015 con una crescita dell'emigrazione giovanile del 34% negli ultimi due anni.
Il sogno originario dei padri fondatori dell’Unione Europea era grande, difficile, complesso ma lo è ancora di più per chi lo ha ereditato ed è combattuto oggi, sempre più spesso, tra le proposte comuni e le rivendicazioni di autonomia. Aiuterebbe probabilmente la gestione di questo conflitto il pensare che la corretta politica dovrebbe tutelare non tanto (e non solo) la libertà di circolazione, ma due forme di diritto diverse ma compenetranti ovvero il diritto di migrare e il diritto di rimanere nella propria terra e questo accade solo e unicamente se al centro di ogni ragionamento e di ogni azione si pone la persona e il suo benessere e non l’interesse – economico o politico – di alcuni a danno di altri. Il diritto di migrare o di restare come fattore di “sviluppo integrale”, quindi, ovvero volto alla “promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo” e proprio per questo fortemente legato alla pace, anzi ne è il presupposto fondamentale perché se il benessere è armonioso e condiviso crea efficienza, equità e felicità pubblica. Paolo VI nella Popularum Progressio del 1947 invita a non chiudersi in se stessi perché lo sviluppo di sé non avviene senza lo sviluppo degli altri nei diversi ambiti.
"Lo sviluppo integrale dell’uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell’umanità. […] noi dobbiamo parimenti cominciare a lavorare assieme per edificare l’avvenire comune dell’umanità. E suggerivamo altresì la ricerca di mezzi concreti e pratici di organizzazione e di cooperazione, onde mettere in comune le risorse disponibili e così realizzare una vera comunione fra tutte le nazioni. […] Questo dovere riguarda in primo luogo i più favoriti. I loro obblighi sono radicati nella fraternità umana e soprannaturale e si presenta sotto un triplice aspetto: dovere di solidarietà, cioè l’aiuto che le nazioni ricche devono prestare ai paesi in via di sviluppo; dovere di giustizia sociale, cioè il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni commerciali difettose tra popoli forti e popoli deboli; dovere di carità universale, cioè la promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri. Il problema è grave, perché dalla sua soluzione dipende l’avvenire della civiltà mondiale".