- 05 Lug, 2016
- Senegal
“Sono stata in Europa otto anni. Ho vissuto in Italia e in Spagna. Il lavoro non mancava, ma non avevo il permesso. Un giorno la polizia mi ha fermata, mi ha messa su un aereo e mi ha rimandata in Senegal. Qui sto male, il lavoro non c’è, non so come far mangiare mia figlia”.
Vinta è nata in Senegal e giovanissima è riuscita ad emigrare in Italia. È arrivata in aereo, non con i barconi. La sua famiglia aveva messo da parte un po’ di soldi per lei, che le sono bastati per il volo e per i primi mesi di soggiorno italiano. Ha vissuto a Milano, con il suo compagno, ma solo per un anno, perché il lavoro non si trovava e il visto era scaduto. Meglio provare con la Spagna, dove vivevano alcuni amici. Ci arrivarono passando per il Portogallo, in macchina.
Otto anni è durata la sua permanenza in terra spagnola. Ha vissuto a Madrid e a Cuenca. Lì aveva un lavoro, faceva le treccine ai capelli e guadagnava i soldi sufficienti per mantenersi. Non era un impiego regolare, però, e Vinta non aveva il permesso di soggiorno. Un giorno la polizia la fermò e le fece un ordine di espulsione. Riuscì a scappare e rimase in Spagna, come clandestina. Qualche settimana più tardi fu catturata nuovamente e mandata in un centro d’accoglienza per stranieri, in cui rimase per 30 giorni.
“La polizia mi diceva che ero fortunata – racconta - perché non c’erano voli per rimandarmi nel mio Paese”. Da Madrid Vinta riuscì a trasferirsi a Cuenca, insieme al suo compagno. Era da poco rimasta incinta. “Cuenca era un posto molto piccolo – ricorda – e noi eravamo troppi neri”. Così un giorno, quando era uscita a comprare il pane, la polizia la arrestò, la portò al commissariato e nel giro di due ore la mise su un aereo e la rimandò a casa.
In Senegal oggi vive male e si commuove quando racconta della Spagna e dell’Italia. Non ha lavoro, non ha soldi per mangiare. Ha una figlia piccola che non riesce a sfamare. I genitori, che l’avevano aiutata a partire, sono morti. I fratelli se ne sono andati tutti. Un giorno la sua bambina si è ammalata e lei non è riuscita a pagare un medico che la visitasse. Giura che resterebbe in Senegal, se solo trovasse un lavoro degno di questo nome. “L’unica cosa che conta – dice – è riuscire a mantenermi e a dar da mangiare a mia figlia”.