Chi sono io, un 'obroni', per spiegare cos'è la tratta?
A tre settimane dal nostro arrivo in Ghana è difficile dire di aver visto e sperimentato anche solo un millesimo di ciò che è il Ghana. E pensare che normalmente un pacchetto turistico per ‘vivere l’Africa’ non comprende più di due o tre settimane… Chissà come fa un turista medio a pensare di vivere l’Africa in così poco tempo (che poi l’Africa non sarebbe un continente?).
Il modo con cui i turisti (imprenditori o imprenditori di grandi Ong) si sono sempre atteggiati in questi contesti hanno lasciato un segno indelebile, tanto che per strada i bambini dai tre anni in su ti accolgono con un caloroso: ‘Obroni (bianco) give me money!’.
Obroni è la prima parola che ho sentito appena ho messo piede fuori dalla macchina ad Ashaiman e probabilmente sarà l’ultima che sentirò prima di lasciare questo Paese. Facendo una breve ricerca sull’etimologia della parola scopro che il significato originale è probabilmente di epoca coloniale: ‘one who cannot be trusted’.
E a dire la verità, non perché continuano a ricordarmelo per strada, ma un po’ obroni mi sento davvero. La nostra sistemazione a Sunyani è una casetta ristrutturata per l’occasione nel compound dei Salesiani, tra la fattoria e la casa dei novizi: il posto più tranquillo e sicuro dell’intero compound, tanto che ancora non abbiamo comprato i lucchetti per il cancello. Il compound è molto grande ma recintato da un grande muro e con diverse uscite tutte sorvegliate 24 ore su 24, 7 giorni su 7. La mattina prima di entrare a scuola, alcuni studenti spazzano la strada sterrata che conduce al cancello principale e la lasciano bella pulita. La realtà dentro al compound è idilliaca. La realtà della città africana si svela solo le poche volte che si esce per andare a fare la spesa. Il mercato è fatto da centinaia e centinaia di banchetti tra stradine minuscole di assi sotto le quali passa la rete fognaria. Decine di ragazzi al bordo della strada aspettano, seduti sulle loro carriole, di trasportare la merce.
Appena arrivata e con pochi contatti con la realtà al di fuori di Don Bosco, la contrapposizione tra questi due luoghi mi ricorda un po’ la descrizione che Baumann fa delle grandi città globalizzate, piramidali, e dell’esigenza di protezione e distacco per chi se lo può permettere. Ma Don Bosco a Sunyani è scuola per 600 studenti, è casa per 200 di questi, è una famiglia per 60 ex ragazzi di strada ospiti del Boys Home. E’ un fiorire di progetti nuovi ed innovativi, tutti basati sull’attenzione e l’educazione dei giovani.
Dopo una settimana abbondante di progettazione e pianificazione, sta per partire la prossima campagna di sensibilizzazione di “StopTratta”, non senza incertezze e dubbi da parte nostra che abbiamo il compito di trasmettere un messaggio molto importante, ma che non si sa come verrà interpretato. Mi chiedo con che coraggio io - l’obroni di turno – dovrò trasmettere informazioni aggiornate sul problema della migrazione irregolare, cercando di far passare il messaggio che, se irregolarmente, è meglio non migrare, pur sapendo che le vie legali d’accesso all’Europa, per un ghanese medio, sono ben poche. Sapendo che spesso, nonostante tutte le testimonianze di migrazione andate a finire male, ciò che farà impatto saranno ancora i pochi casi di successo. Sapendo che in una regione come il Brong-Ahafo, basata sull’agricoltura, ma dove il mercato è invaso da concentrati di pomodoro cinesi e polli surgelati importati, le possibilità di sviluppo sono scarse. Sapendo che nonostante tutte le raccomandazioni, non si riuscirà a distruggere tutti i sogni di ragazzi che già hanno deciso di partire alla volta dell’Europa.
Ma poi mi ricordo il motivo principale per cui sono in Ghana, quello che mi ha spinto ad andare fino ‘a casa loro’ perché le storie che ho ascoltato di quelli che ce l’hanno fatta sono tutt’altro che storie di successo. Sono storie di sofferenza e di violenza gratuita, alimentata in questo ultimo periodo da politiche migratorie ben poco umane. E sono storie che si possono prevenire solo attraverso la costruzione di un dialogo sincero e genuino con la gente. Nonostante la diversità di cultura e di visioni, chi mai vorrebbe rischiare la vita nel deserto, o in Libia, o nel Mediterraneo o come lavoratore sfruttato nelle campagne del Sud Italia, o attraversando un confine per raggiungere altri Paesi europei?
A maggior ragione, in un contesto pacifico come il Ghana, è importante portare avanti questa campagna, lasciando la parola a chi in passato ha lasciato il paese ma per (s)fortuna è ritornato indietro. Chi di loro è adesso impegnato nel nuovo corso di agricoltura a Sunyani è l’esempio che si può ripartire restando, costruendo poco a poco opportunità per il futuro e per i nuovi giovani che verranno.
Anna Bertazzoli, Servizio Civile in Ghana “VIA: Volontari per l’adolescenza e l’infanzia”