La non solitudine del cooperante

Ecco il "diario di bordo" del nostro Gianpaolo Gullotta, volontario in Sierra Leone. Oggi ci racconta cosa vuol dire, per un coooperante, non essere mai solo!

E’ difficile essere soli quando si fa questo lavoro. L’iterazione con le persone, con i luoghi, i passanti, i bambini persino gli animali è sempre costante. “On est esemble”, “ We are together” diciamo sempre qui in West Africa, sia se ci si trova in territorio francofono sia anglofono, “ siamo insieme”.

LA CONDIVISIONE TI BRACCA E NON TI LASCIA MAI SOLO

Ed è proprio vero, la condivisione ti bracca e non ti lascia solo. Proprio ieri sono andato a trovare una volontaria che per la prima volta ha preso la malaria, un’azione spontanea anzi quasi necessaria. I volontari e colleghi hanno fatto lo stesso con me quando anch’io la presi. Non si è soli, c’è sempre una grande famiglia al tuo fianco.

Come la mattina che si deve salutare una quindicina di persone prima di potersi sedere alla scrivania per iniziare a lavorare, questo avviene nella soleggiata Ashaiman come nella polverosa e gentile Dakar. Il saluto è la cosa più importante in Africa, bisogna salutare bene e di cuore. Mi sovviene un giorno che stavo seduto di fronte alla mia casa a Dakar, girovagando fra i miei pensieri, quando una minuta bambina di 5 o 6 anni si avvicina a me, mi porge la mano e mi dice: “Bonsoir monsieur” per poi proseguire il suo cammino. Un dolce saluto porto con garbo e fermezza, per sottolineare l’importanza di essere prossimi, di essere insieme.

LAVORARE INSIEME SIGNIFICA CREARE RAPPORTI PROFONDI

Quando si va in missione e si incontrano i beneficiari dei progetti si instaurano rapporti profondi e di stima e ogni occasione è buona per dimostrarlo. La Queen Mother Nana, partner del programma “StopTratta” in Ghana, ha percorso più di 400 km per raggiungerci nella capitale Accra con l’intento di testimoniare il nostro lavoro durante una missione di valutazione di un nostro donatore. Anche fra i volontari ed i colleghi si creano rapporti forti che hanno radici nei comuni intenti e propositi di migliorare le condizioni di vita dei beneficiari dei progetti. A volte queste persone non sono solo colleghi ma diventano i tuoi amici ed anche la tua famiglia. Le differenze culturali cadono e si sciolgono come neve al sole, rimane solo una pulsante amicizia che sfocia in passione per il lavoro. Mi sovvengono tutti i viaggi e le missioni che spesso faccio con il mio amico Benson, un project manager ghanese, come i lunghi viaggi in macchina per raggiungere il Nord del Ghana. Si arriva sempre stanchi e stremati, ma si è condiviso la strada, la polvere, i sogni progettuali che vagano ancora nelle nostre menti, le ombre e le luci.

È un viaggio nel viaggio, anzi mentre nel viaggio le iterazioni e il coinvolgimento sono sempre limitati ad alcuni istanti, seppur intesi, nella cooperazione è totalmente diverso, non sei un tu con un zaino sulle spalle che vaghi incuriosito in terre straniere, ma sei parte del paesaggio, sei stato assorbito dalla cultura. Ciò è evidentissimo quando per inerzia ti accorgi di sapere parole degli idiomi autoctoni, appresi quasi con una passiva osmosi. Queste parole che sembrano anni luce diverse dalla tua lingua madre, ti fanno radicare ancora di più nel contesto in cui sei ospite e vivi, cucendo te stesso in un arazzo multicolore di cui ti appresti a farne per sempre parte. Una di queste parole è Sankwein, che in Twi (idioma del Ghana) significa mangiatore di zuppa. All’inizio non gradivo molto queste zuppe accompagnate da vari tipi di polenta, ma piano piano ho iniziato ad apprezzarle, a gustarle, così gli amici ghanesi hanno iniziato a chimarmi con questo epiteto Sankwein, hanno iniziato a cucire la mia figura sull’arazzo del Ghana.

LA VITA È UN ETERNO MOVIMENTO

Non si è mai soli è un dato di fatto, dalla semplice iterazione per comprare della frutta nei mercati di Dakar, alle riunioni che si fanno con le Queen Mothers degli antichi Regni Ashanti per sviluppare un’agricoltura organica nelle regioni centrali del Ghana. C’è solo un momento dove il peso della solitudine ti martella e ti apre in due il cuore. Quando si ascoltano le terribili storie delle persone che a volte si incontrano durante le missioni, le persone che ti chiedono aiuto o esternano i loro bisogni. Quando i migranti di ritorno ti raccontano dettagliatamente il loro terribile viaggio, quando ti descrivono la morte dei loro famigliari o dei loro amici, quando a volte si interrompono nel racconto perché le lacrime scendono e non c’è modo di fermarle. In quei momenti ci si sente soli, piccoli, inappropriati, mancano le parole, una sensazione orribile che ti mozza il fiato fino a quando il racconto non ricomincia.

Questo è a volte la parte più difficile di questo lavoro e di questa scelta di vita, perché si è impotenti rispetto a ciò. La vita è in fondo un eterno movimento, qual è il motivo di questo viaggio, di questa scelta di vita? Una sera, sotto il cielo damaschinato d’argento di Dakar,  il mio amico Stefano anche lui cooperante in West Africa, mi disse che in fondo si viaggia, si fanno queste esperienze perché si fugge sempre un po’ da qualcosa, anche noi siamo migranti, migranti al contrario. Ma il vero senso di questo profondo viaggio, che può definirsi anche un po’ folle, è la condivisione,  l’opposto della solitudine, non c’è solitudine qui fra noi, On est esemble”, “ We are together” …. Siamo assieme.

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