La sabbia del Senegal racconta l'amicizia con un Marabout
Il Senegal è un paese dove il dialogo tra cristianesimo ed islam trova il suo naturale sfogo nel rispetto reciproco e nella convienza pacifica. Un posto che tutte le persone che predicano odio religioso, guerre sante e distruzione dell’altro dovrebbero vedere. Un assaggio di questa calda ospitalità e propenzione a dialogare con l’altro lo provai quando giunsi per la prima volta in questo paese. Non ero mai stato in un paese mussulmano, noto che la struttura della società è veramente diversa ed il perno di essa sono i Marabout, i maestri del Corano. Sono delle persone importantissime per il Senegal, a livello politico, sociale e culturale. Tutti loro hanno delle scuole coraniche nelle quali accolgono i bambini, i talibé, dall’arabo talib, colui che impara. Spesso però questi bambini vivono per strada chiedendo l’elemosina, se ne vedono dappertutto nel Paese. Molti progetti della Cooperazione internazionale si sono focalizzati nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica locale e dei Marabouts stessi sui diritti di questi piccoli ma con scarsi risultati. Però come in tutte le cose della vita, non bisogna mai generalizzare: piuttosto vanno colti tutti quegli atteggiamenti di dialogo che possono costruire relazioni positive ed io ne ho sperimentato uno in prima persona.
Dopo i miei primi giorni a Dakar, città più europea che africana, mi dirigo verso la stazione dei sept places, vecchie Peugeot a sette posti che fanno le veci dei taxi nostrani. Ma la macchina per arrivare a Kaffrine non è disponibile, devo quindi prenderne una per Tambacounda che però fermerà a Kaffrine. Sorge il problema di quando scendere, di certo non so riconoscere Kaffrine. Allora dall’interno della macchina, un uomo giocondo vestito di verde smeraldo mi dice che lui sa dirmi dove e quando scendere. Mi siedo ovviamente accanto a lui ed iniziamo a parlare. Mi dice che è un Marabout e che ha addirittura talibè anche in Italia (intesi come discepoli, ovviamente) e mi fa parlare al telefono con uno di loro. Le sue parole sono molto rassicuranti, mi parla della fede e nel credere in Dio, nel Dio di tutta l’umanità, perché ce n’è solo Uno. Il viaggio passa veloce, tra la polvere e le parole sacre del Marabout di smeraldo. E ritrovo quell’Africa selvaggia che conobbi in Tanzania, dove l’Occidente e il suo caos ancora non hanno inciso, dove l’andare è lento e il tuo compagno di viaggio è l’amico di una vita. Ci fermiamo ad un ristorante, un posto di ristoro molto sobrio, per mettere nello stomaco qualcosa dopo 4 ore di strada, polvere e sabbia. Mangiamo un piatto di riso alla senegalese e quando mi alzo per pagare, la cameriera mi dice che il “mio” Marabout di smeraldo ha già pagato per me. Un gesto di gentilezza che dimostra le mille sfaccettature di una realtà come quella dei Marabout in Senegal. L’incredibile attenzione e premura nei miei confronti rimane per me una sorpresa ed un segno di amicizia ed accoglienza che sempre ricorderò e ringrazierò. Finalmente arrivo a Kaffrine, scendo e lo saluto. La macchina riparte, prendo lo zaino in spalla, in un istante scompare tutto: la macchina, i passeggeri ed il Marabout ma, come l’urna greca di Keats dove il tempo non scorre ma curva il suo cammino rendendo eterno ciò che si vive, anche questo incontro fugace ma profondo, resterà a vagare, finchè ne avrà voglia, fra la polvere e le sabbie del Senegal.
Gianpaolo Gullotta - VIS Regional Project Manager, West Africa and Caribbean