I migranti eritrei in fuga dalla leva obbligatoria permanente

Siamo noi”, la nota trasmissione condotta da Licia Colò su TV2000, dedica lo spazio “Prima di cena” di domenica scorda per parlare dell’Eritrea, della situazione attuale e dei fenomeni migratori che coinvolgono la popolazione.

In studio a parlarne è ospite Suor Elisa Kidanè, missionaria comboniana nata in una piccola città nei pressi di Asmara. Suor Elisa ha vissuto tutta la propria infanzia in Eritrea e continua a tornarci per progetti realizzati insieme ai comboniani, legati in particolare ai bambini grazie alla presenza di missionari negli asili e alle giovani donne per aiutarle a diventare indipendenti.

Ciò che racconta inizialmente Suor Elisa è un Paese, ex colonia italiana, quasi dimenticato dal mondo. Un Paese con una situazione difficile ma con grandissime potenzialità: ad esempio la sua costa ed il mare non hanno nulla da invidiare a blasonate mete turistiche a pochi chilometri di distanza.

L’Eritrea, diventata indipendente solo nel 1993 dopo una guerra durata 30 anni con l’Etiopia, basa la sua economia e sussitenza sulle sole attività di agricoltura negli altopiani e di pastorizia in pianura e lungo la costa.

La sua popolazione conta 4 milioni di persone divise in 9 etnie e 4 religioni; tuttavia le Nazioni Unite calcolano che ogni anno 5000 eritrei tentano di attraversare il mar Mediterraneo a bordo di “carrette del mare” verso l’Europa.

I miei ricordi di infanzia sono ricordi di un mondo interculturale: il mondo ce lo avevi in casa. Il crescere insieme ad altre culture, religioni credo sia stato per noi eritrei di quell’epoca la marcia in più per avvicinarci ad altri popoli con un atteggiamento di accoglienza verso l’altro.

 

MIGRANTI IRREGOLARI IN FUGA DALLA LEVA OBBLIGATORIA PERMANENTE

Suor Elisa parla dei giovani eritrei che affrontano il mare; divenuti migranti perché senza alternativa:

"I ragazzi scappano per diverse ragioni: il servizio militare obbligatorio e “permanente” è una motivazione molto forte. I ragazzi, infatti, ad una certa età sono costretti alla leva obbligatoria; tuttavia non esiste un periodo prestabilito: è il Governo stesso che deciderà del futuro del giovane costringendolo o meno alla vita militare".

Un secondo elemento che determina l’impossibilità a lasciare il Paese in modo legale consiste nel fatto che, per legge, le donne possono lasciare il Paese solo a 40 anni, gli uomini a 45.

"Vedo tanta sofferenza in questa scelta: per me sono braccia rubate all’agricoltura e alla ricostruzione del Paese. La gente eritrea è gente laboriosa che ha voglia di ricostruire. Vedere tutti quei giovani stanziare nei pressi delle stazioni come Termini mi rattrista. È importante lavorare sull’accoglienza, dare loro la possibilità di poter crescere e tornare quanto prima a ricostruire il nostro Paese".

 

Sono proprio queste storie che testimoniano ancora una volta come impedire ad una persona di partire, non sia un deterrente valido o comunque sufficiente a limitare le partenze.

Solo creando opportunità concrete nel Paese di origine e disilludendoli che l’Europa o l’America non sono l’eldorado raccontato dagli “eroi” sopravvissuti al viaggio o dalla TV, si renderà questi giovani in grado di partecipare alla costruzione del proprio futuro e di quello del proprio paese.

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