L'incontro con i migranti di ritorno in Ghana
All’interno del programma Stop Tratta in questo momento abbiamo in corso un progetto di formazione in agricoltura organica che prevede attività di formazione e per questo, per una settimana abbiamo sottoposto i questionari per la selezione dei beneficiari che seguiranno i corso; in particolare siamo stati nelle città di Sunyani, Berekum e Kranka, tutte fanno parte della Brong Ahafo Region. Una bellissima regione dove i colori che regnano sovrani sono il verde della vegetazione, alberi di palma da cocco e di olio di palma, banani, e altri che non sono riuscita a identificare, e il rosso intenso delle strade e della polvere.
In Sunyani avendo avuto gruppi in differenti posti della città siamo passati dal patio della Cattedrale, dove i beneficiari erano persone adulte in cerca di nuove opportunità agli studenti della Scuola Tecnica Don Bosco di Sunyani. Ragazzi di vent’anni che alla domanda se pensassero di emigrare hanno risposto immediatamente di sì, mentre a quella sul dove si bloccavano pensando su dove avrebbero avuto migliori opportunità e soprattutto facilità nella lingua, eppure alcuni di loro hanno semplicemente risposto di no. E’ sempre interessante parlare con i ragazzi e ascoltare i loro sogni, perché alla fine chi a vent’anni non pensava di viaggiare e conoscere altre realtà adesso si trova davanti ad una realtà diversa quella che li lega alla migrazione.
Nelle altre due cittadine lo scenario cambia. Nella città di Berekum le interviste si svolgono nella casa della Queen Mather: figure istituzionali che risalgono al regno Ashanti, l’antico Ghana e rappresentano le autorità tradizionali locali che principalmente si occupano di salvaguardare il benessere delle loro comunità, avendo un occhio di riguardo per le donne e i bambini. Oltre a promuovere progetti di sviluppo per la propria città, hanno un ruolo sociale molto importante, quando ci sono problemi coniugali, di eredità, di accesso alla terra, ecc., esse ascoltano e prendono il ruolo di mediatrici. Dopo i saluti e la consegna dei doni, perché è di rito consegnare due bottiglie di liquore, acqua, malta e alcuni dolciumi per ringraziare dell’ospitalità e della disponibilità, con l’aiuto del nostro logista, che ci aiuta anche con il Twi, lingua locale, le selezioni iniziano.
L’INCONTRO CON I MIGRANTI DI RITORNO A BEREKUM
Tante storie si intrecciano, ma qui incontriamo tanti migranti di ritorno, soprattutto dalla Libia. Ci raccontano che sono partiti per assicurare un futuro migliore alle loro famiglie, c’è qui ha persino venduto il suo pezzo di terra prima di partire. Una volta giunti in Libia, dove spesso hanno già qualche conoscenza, un amico o un parente partito in precedenza, hanno trovato impiego nell’edilizia, oppure come giardinieri o come mandriani. Le opportunità di lavoro non mancano, ma purtroppo le condizioni non sono delle migliori, i maltrattamenti, sia verbali sia fisici erano all’ordine del giorno. Ci raccontano che erano trattati peggio delle bestie e quando la situazione in Libia è precipitata, sono ritornati a casa. Ora lavorano come contadini oppure come manovali. Sono lavori saltuari, pesanti e in ambienti insalubri. Vogliono seguire il corso per migliorare la loro attività agricola, magari differenziando le colture e piantando alberi da frutto.
LA VISITA A KRANKA
Nella cittadina di Kranka, raggiungibile solo attraverso una strada sterrata che solleva nuvole di polvere, al nostro arrivo troviamo ad attenderci un consigliere della città e le persone che parteciperanno, al corso. La chiesa diventa lo scenario della mattinata: il consigliere prende parola e spiega di cosa ha bisogno la Comunità. Noi spieghiamo gli obiettivi del progetto, del corso e della possibilità di accedere a un microcredito alla fine del training e ci mettiamo a lavoro. Anche qui la maggior parte delle persone si dedica all’agricoltura e molti sono stati in Libia vari anni per migliorare gli standard di vita delle loro famiglie.
I racconti sui maltrattamenti e sulla pericolosità della Libia purtroppo si ripetono. Gli chiedo se vorrebbero emigrare in altri Paesi e mi rispondono serenamente con un No categorico. Alcuni mi dicono che emigrerebbero solo legalmente: la coscienza dei rischi in cui potrebbero incorrere per le vie illegali affiora dai racconti.
Alla fine del lavoro ci rechiamo dal Chief locale, figura equivalente alle Queens Mother, offriamo doni come da rito e con lui parliamo dei problemi della comunità e i ringraziamenti per quello che il progetto potrà fare per la comunità ci fanno concludere con gioia la mattinata.
Dopo tutte queste storie, mi sono fermata a riflettere di quanto le politiche attuali siano così distanti dalla realtà in cui vivono i “potenziali migranti irregolari”, per loro è impossibile giungere in un paese europeo con un visto legale, se non con un contratto di lavoro già stipulato, ma anche con questo potrebbero incorrere in difficoltà. Si continua a costruire muri e incrementare politiche restrittive, grazie alle quali i trafficanti riescono ad aumentare i loro introiti. Una persona che vive in un piccolo villaggio, che non riesce a sfamare la propria famiglia e non ha opportunità locali, cercherà altrove dove poter soddisfare i propri bisogni, iniziando a costruire il suo progetto migratorio. Perché nessuno decide di partire svegliandosi di colpo un mattino e mettendosi in viaggio alla cieca. Se un corso in agricoltura e un microcredito riusciranno a essere una valida alternativa, non possiamo stabilirlo ora e soprattutto non lo sapremo nel breve periodo, però nel frattempo si inizia a costruire un percorso alternativo e speriamo che si trasformi in una valida possibilità e che migrare diventi una scelta e non una necessità.
Federica, volontaria VIS
Progetto realizzato con il contributo di
Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo