La battaglia contro la migrazione irregolare: viaggiare per scoprire non perché non si ha altra scelta!

Michel Metanmo, operatore VIS in Senegal racconta il suo incontro con il collettivo dei migranti di Yarakh. La loro esperienza diventa l'occasione per uno spunto di riflessione ed un invito a conoscersi e ad amare di più se stessi.

“Giovani li appella qualcuno, adulti li considera qualcun altro,  ma hanno in comune lo stesso sogno: cavarsela nella vita. Si chiamano Diop, Dia, Faye, Diouf... Si sono riuniti in un'associazione,  il collettivo dei migranti di Yarakh, quartiere una volta conosciuto come porto delle migrazioni. Questo nome è dovuto al fatto che dalla spiaggia di Yarakh, partivano decine di barche ogni settimana, cariche di giovani e di meno giovani, diretti verso la Spagna. Venivano in tanti da altri quartieri di Dakar a guardare lo spettacolo e salutare i viaggiatori che partivano col sorriso sulle labbra come testimoniano alcuni. 

barche pescatori yarakh

Era soltanto 10 anni fa, ma sembrano altri tempi. Oggi la spiaggia è meno affollata, la Marina Spagnola e quella Senegalese pattugliano le acque con più frequenza; si è aperta un'altra rotta, attraverso il deserto e poi la Libia.

Ma in realtà, ad Han bel air, nome moderno del quartiere, non è cambiato nulla. Povertà e disoccupazione continuano a farla da padrone, con tutte le difficoltà ed i problemi che ne conseguono. Gran parte degli abitanti del quartiere è pescatore da generazioni: sono i lebou, i primi abitanti di Dakar. Ma la pesca ormai non dà più da mangiare a nessuno. Da anni devono fare i conti con la potenza della barche industriali".

 

I giovani di Yarakh, migranti in viaggio, migranti di ritorno

"Molti giovani di Yarakh non credono più nel futuro, per lo meno in Senegal. Scelgono di tentare la fortuna oltre mare, correndo rischi enormi che spesso vanno oltre l'umanamente sopportabile. Alcuni di loro raccontano le peripezie del loro viaggio, della fame, della sete, delle onde che sembrano palazzi, dei morti e delle tante promesse. Quelle fatte dal governo per incoraggiarli a tornare,  assicurando loro un re-inserimento nella società. Ma in dieci anni non si è visto nulla, se non altri morti, come i 9 di agosto scorso che tentavano di raggiungere la Spagna. Erano tutti di Yarakh! 
I candidati all'emigrazione non sono tutti ragazzi senza formazione come si pensa. A Yarakh,  tanti hanno la maturità,  diplomi universitari, tanti altri sono pescatori e non sanno fare altro. 
Col passar degli anni, tutti i migranti di ritorno di Yarakh sono diventati strumenti di propaganda. Diallo racconta che governo, tv locali e straniere, ong e radio non hanno più segreti per loro. Si sentono sfruttati ogni volta che si presenta qualcuno che sembra avere interesse per la loro situazione, ma alla fine non succede mai nulla, se non il risveglio di brutti ricordi che con fatica provano a dimenticare. 

L'istinto di sopravvivenza e di responsabilità - ecco cosa spinge un essere umano a spostarsi, rischiando la propria vita. L'uomo è un animale viator, che in tutta la sua storia ha migrato. In un'epoca di "globalizzazione" come la nostra,  è curioso ed impressionante vedere con quanta facilità si spostano da un posto all'altro del mondo cose inanimate come soldi, beni materiali (vedi coca-cola o maglie di calciatori famosi) e non;  ma allo stesso tempo non vi sia la stessa facilità di spostarsi per gli uomini - essere umani - a tal punto che il migrante diventi una grande preoccupazione del nostro tempo. Abbiamo costruito un mondo di barriere che da fisiche sono diventate anche culturali, ideologiche e morali".

cooperativa giovani pescatori Yarakh

L’Africa e gli Africani in prima linea contro la migrazione irregolare

"In tempi di sofferenza, l'uomo di qualunque colore, in qualsiasi posto del mondo e in ogni epoca, ha sempre saputo trovare delle soluzioni per cavarsela. 

Forse è giunta l'ora che la battaglia contro la migrazione irregolare diventi più d'interesse degli africani stessi che degli altri. Serve una riflessione approfondita e coinvolgente di tutti tra governanti e governati per fermare l'emorragia. La bolletta più salata, la paga l'Africa che continua a perdere i suoi figli

L'esperienza ha dimostrato che non c'è barriera né legge che possa fermare sofferenza e disperazione. Non si può quindi avere la pretesa di impedire alle persone di migrare. Quello che invece possono e devono fare gli stati africani è cominciare a valorizzarsi. Questo passa attraverso un ritrovamento identitario e culturale per imparare ad amare se stessi,  a conoscere la propria - vera storia, a riscoprire i propri valori.  Perché la verità è che gli africani - e qui mi permetto di generalizzare, pur consapevole che il continente africano è fatto di più stati tutti diversi tra di loro - devono imparare a sentirsi bene a casa loro, ad essere fieri delle proprie origini.
Viaggiare deve diventare un'occasione di scoperta,  di incontro,  di condivisione, non il terreno di tutte le contrapposizioni che si nutre di odio e rigetto, diventando uno strumento politico”.

stop tratta yarakh senegal

Michel Metanmo, Operatore VIS in Senegal

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