La storia di Mor, in viaggio dal Senegal verso Le Canarie

I senegalesi sono simili agli italiani, aperti e disponibili, divertenti e chiacchieroni, solo hanno storie molto diverse dalle nostre. Una di queste ci è stata raccontata sull'isola di St. Louis, ex capitale del Senegal, da un baifal di nome Mor.

Mor nel 2002 tenta la traversata verso le Isole Canarie, il suo mezzo una semplice piroga di legno dove siedono lui e circa altre 80 persone disposte a pagare 500 000 FCFA per raggiungere clandestinamente un futuro migliore.

Hanno stimato di rimanere in mare per una settimana circa, pochi giorni prima un'altra imbarcazione aveva tentato il viaggio ma era stata sorpresa da una mareggiata che non ha lasciato neanche un superstite, vivo neanche uno degli amici di Mor.

Siamo all'ombra di un albero, a pochi metri qualcuno allestisce un palco per il grande concerto che si terrà quella sera, il via vai continuo di persone e carrapide non interrompe il racconto di un uomo che non vuole muovere in noi compassione, cercando di trattenere quel filo nero di lacrima che veloce segna il viso. 

Nel suo racconto sento l'intenzione di far capire proprio a noi, proprio lì, perché loro partono. Nessuno vorrebbe lasciare l’isola, ma il cibo manca e il timore di non poter dare un futuro ai propri figli dà loro la forza, o forse follia, di sopportare quei viaggi.

 

IN MARE, IN ATTESA DELL'ULTIMA ONDA


Mor ci racconta di come progressivamente le provviste siano venute meno, di quei sette giorni che sono diventati molti di più, dei compagni che iniziavano a morire e delle preghiere per accompagnare i corpi in mare. 

Proprio quando è giunto al punto di “aspettare l'ultima onda”, ecco l'arrivo della Croce Rossa spagnola.

È stato quasi surreale ascoltare quelle parole, una di quelle storie di migranti di cui i giornali parlano solo quando è l'ennesima piroga a sprofondare a largo delle nostre coste, ed è stato ancora più inaccettabile scoprire che lui e gli altri superstiti siano stati tenuti in prigione per una settimana prima di essere rimandati in Senegal, in manette, sul primo aereo disponibile.


Cosa fai di fronte ad un uomo che ha vissuto un'esperienza simile, impiegando tutti i risparmi per essere considerato un criminale da chi non ha idea di cosa abbia sopportato, e non solo su quella barca ma per tutta una vita a St Louis dove le navi russe, giapponesi e coreane pescano a largo il suo pesce, l'unica fonte di guadagno che poteva sperare di avere.


volontariato internazionale dakar

Ti senti impotente, ascolti delle parole che non sei nemmeno sicura di capire, non perché siano in francese bensì perché ti dicono cose che non conosci e che è solo grazie alle tue origini se non usciranno mai dalla tua di bocca.

 

VOLONTARIATO INTERNAZIONALE: UN'ESPERIENZA FORTE

Una volta condivisa la sua storia, Mor decide di raccontarci anche quella dell'isola spiegandoci il valore di ogni singolo luogo, dalla prima chiesa costruita in Africa Occidentale al Tribunale per i musulmani.
 In cambio? Dopo una nostra timida offerta di qualche FCFA, ci chiede quanto basta per comprare un solo sacco di riso. 

Due mesi a Dakar sono stati come un lampo, una luce che per quella frazione di secondo ti permette di vedere, chiare, molte cose. 
Ho ricevuto dall'Africa molto più di quanto mi sia sforzata di darle.

E' stato come guardare dallo spioncino un mondo di cui, se decidessi di tenere questa esperienza solo come un ricordo, non potrei mai fare parte.


Qualcuno un giorno mi ha detto che ci sono due modi per vivere un’opportunità così: portare il proprio mondo in un Paese, o lasciare che quel Paese diventi il tuo mondo.

Significa adattarsi ad un contesto, rispettarne i tempi, lasciare che la quotidianità di un senegalese diventi la tua, osservare, ascoltare e non avere fretta di capire tutto e subito.. Perché in Africa “nessuno ti giudica”, ogni aiuto “c'est gratuit” e insieme “si è una famiglia”.

Beatrice, volontaria internazionale con il VIS a Dakar

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