Save Our Souls, nuova vita per i giubbotti salvagente
SOS, ricorda un segnale d'allarme, una ricerca d’aiuto, un soccorso al quale il giovane Achilleas Souras ha dato una risposta: “se i giubbotti sono in grado di offrire una protezione in mare, forse possono farlo anche sulla terra”.
Ma iniziamo dal principio. Achilleas Souras è un adolescente nato a Londra e che ora vive con la propria famiglia a Barcellona dove frequenta la American School. Ha partecipato con grande impegno al progetto RefugArt promosso dalla sua scuola e nato con l'obiettivo di creare onsapevolezza sul fenomeno migratorio. Così la scuola si è fatta spedire qualche mese fa dei life jackets direttamente dall'isola di Lesbo, dove se ne sono accumulati circa 450mila.
IL PROGETTO REFUGART
Ad ogni studente è stato dato il compito di studiare un progetto che li mettesse “al centro”. La passione sfrenata del ragazzo per le costruzioni Lego ha fatto il resto.
“Gioco con i mattoncini colorati da quando ne ho memoria: la nostra casa ne era piena. Se c’era una crepa o un buchetto da qualche parte, io lo riempivo con un mattoncino. Ricordo quando, insieme con mio fratello, costruivamo le navicelle spaziali di Guerre Stellari: la mia immaginazione ha superato in fretta le pagine del libretto d’istruzioni. Sono nate così le mie prime creazioni”. Achilleas ha ideato e costruito delle tende impermeabili a forma di igloo, costruite con i giubbottini utilizzati in mare dai migranti e saldati con strappi in velcro, adoperate per la prima accoglienza dei migranti stessi.
“Ho deciso di chiamare il progetto “Save Our Souls” (salva le nostre anime), perché l’SOS è un segnale internazionale di pericolo, emergenza, soprattutto se viene dal mare. SOS è un appello urgente di aiuto. E anche l’avere scelto di specificare, nel nome per esteso, l’aggettivo “nostre”, sta a indicare la connessione di tutti, indipendentemente dalle nostre origini. Un pianto per chiedere aiuto, ma anche unità e solidarietà”.
OGNI GIUBBOTTO SALVAGENTE RAPPRESENTA UN ESSERE UMANO
Un messaggio di grande impatto emotivo che cerca di riportare queste tragedie al valore umano, piuttosto che a statistiche e freddi numeri: “Vederli abbandonati sulle spiagge è straziante, e prendendoli in mano si sente tutto il peso della vita e del viaggio di chi li ha indossati: qualcuno è vivo, qualcun altro è morto. Ma ognuno di essi rappresenta un essere umano: è giusto concentrarsi su questo passaggio, mentre ci si fa sempre poca attenzione. Così ho penato che, se i giubbotti sono in grado di offrire una protezione in mare, forse potevano farlo anche sulla terraferma. Mi piace capire quali altre forme d’utilizzo possa avere un oggetto nato con uno scopo preciso”.