Viaggio nel villaggio delle streghe
15 maggio 2019 - Nel villaggio delle streghe entriamo accompagnati da un figlio di uno stregone. Sembra un villaggio come se ne vedono tanti in Africa, solo che è popolato di streghe. Vecchie signore consumate dagli anni e dal sole africano, fino a sembrare vecchi pezzi di cuoio lucidi e lisi dal tempo. Il loro sguardo è intrappolato nel vuoto come se avessero lanciato su loro stesse un incantesimo o forse è solo il tedio di vivere. Ci addentriamo negli antri delle streghe, non è la foresta bretone dove risiedeva Morgana o la spelonca tirrenica dove Circe amava trasformare i poveri malcapitati in porci, è il villaggio di Gnani nel Nord del Ghana e le streghe in questione sono solo povere donne ostracizzate dalle loro tribù. Ostracizzare viene dal greco ostrakon, conchiglia ed era la conchiglia su cui le persone scrivevano il nome di chi si voleva mettere al bando dal villaggio. Sono i bambini che ci accolgono, non vanno a scuola e la loro condizione di salute ci appare da subito non sana. Hanno le pance gonfie, segno di malnutrizione dovuta ad una dieta alimentare fatta esclusivamente di amidi provenienti dallo yam, un tubero da cui dipende la maggior parte dell’alimentazione del Ghana settentrionale. Inoltre molti di loro hanno la tigna, ferite alle gambe e già denti compromessi. Ci seguono e ci prendono per mano, come fossero famigli che delicatamente ci conducono nell’antro delle streghe. La parola strega viene dal latino strix, strigis barbagianni, uccello notturno che si credeva succhiasse il sangue ai bambini e li allattasse con latte avvelenato. Il grido che tale uccello emette è stato spesso accomunato alle urla delle vecchie signore accusate di malefici ai danni della comunità. Tutte le donne che incontriamo sono state bandite dai loro rispettivi villaggi ed hanno trovato un rifugio in questa terra offerta da un capo locale. I motivi per tale esilio sono spesso futili e nascondo dei secondi fini. La cacciata di una donna da un villaggio spesso è legata a delle morti strane che accadono e di cui vengono accusate. Di solito sono le vedove che una volta morto il marito non hanno più una protezione nel villaggio ed essendo sempre considerate un elemento esterno alla tribù del defunto marito, si strumentalizza la morte del coniuge per cacciarle e prendersi le proprietà che avrebbero dovuto ricevere di diritto in eredità. Un altro pretesto per accusare una donna di stregoneria è che non dà alla luce figli maschi, solamente per questo viene ripudiata. Alla fine si evincono dei motivi molto più semplici e veniali per bandire una donna dal villaggio non di certo malefici infernali. La donna nel Nord del Ghana è considerata sempre un elemento esterno alla tribù ed una volta che il marito o i figli maschi non ci sono, si fa presto a sbarazzarsene. C’è però una possibilità di essere purificate, proprio nel villaggio in cui ci siamo recati, c’è un albero sacro sotto il quale la strega deve passare tutta la notte e se all’alba gli spiriti l’hanno lasciata in vita vuol dire che potrebbe ritornare al proprio villaggio di origine, ma nessuna di loro fa ritorno, la paura è grande, non sarebbero al sicuro nel proprio villaggio di origine, potrebbero persino essere uccise. Quindi molte decidono di rimanere a vivere nel villaggio delle streghe. La cosa più dolorosa che si evince è che loro stesse credono di essere streghe, di aver causato le morti di cui sono state accusate, così il loro sguardo è triste ed agonizzante e non ci sarà mai un albero che potrà esorcizzarle dal male che l’uomo stesso le ha arrecato, battezzandole di colpe non proprie. Alice con cortesia e compostezza si accinge ad intervistarle, portando avanti così una sua ricerca che possa comprendere le cause di questo vuoto di diritti e la creazione di ghetti dove è facile entrarvi per poi non uscirne più. Una delle sue domande è: “Cosa fai per vivere adesso?”, “Nulla sono vecchia, sto seduta, non posso fare nulla!”. La donna continua a sbucciare un frutto simile alla carruba, gettandone la polpa su un lercio straccio. E’ la piccola comunità del villaggio che si prende cura di loro, portandole da mangiare, sono i figli delle streghe che non sono a loro volta tacciati di stregoneria, ma essendo nati nel villaggio stesso non se ne possono fuggire, imprigionati per sempre in questo cerchio magico. Un villaggio incantato dove si può solo entrare, senza mura ma assolutamente una prigione a cielo aperto. Da lontano si vedono dolci declivi dove gli abitanti provano a coltivare lo yam, lottando contro la siccità acuita dal cambiamento climatico. Sembra una favola nera vissuta sulla nostra pelle, Alice mi ha portato in questo cerchio magico ed ora è difficile uscirne anche per noi. Le domande di Alice sono come incantesimi che cercano di dipanare le menzogne a cui queste povere donne sono state costrette a sottostare, come petali che si posano a terra, leniscono e scalfiscono le mura di pianto con cui è fatta la recinsione di questo villaggio incantato. Questo non basterà a cambiare la loro condizione di vita, a farle riguadagnare i diritti prepotentemente tolti, ma sicuramente sarà servito a farle sentire nuovamente donne, e non streghe.
Gianpaolo Gullotta, VIS Regional Project Manager in West Africa and Caribbean