Alice out of Wonderland
20 settembre 2018 - Il nostro mondo Occidentale è fatto di mille luci, mirabolanti macchine ed inimagginabili meraviglie; come l’acqua corrente in casa, viaggiare in automobili dai molteplici confort, possedere la luce artificiale a tutte le ore ed in tutti i giorni dell’anno. Un mondo dove si può avere tutto, il possesso di cose materiali ed eteree è un diritto, dove lo scartare il vecchio per il nuovo, giusto perché ci si è annoiati del colore del cellulare o della parlantina del proprio partner, è una regola strutturata ed ormai incardinata nelle nostre coscienze.
Ma cosa succederebbe se tentassimo di spostare Alice fuori dal nostro paese delle Meraviglie? Saprebbe ritrovare la strada grazie al Bianconiglio oppure capirebbe che c’è un immenso mondo che possiede ben altre regole, dove l’acqua è un bene da razzionare, dove l’unico mezzo per spostarsi sono le proprie gambe e dove la notte è ancora buia, romantica quando la luna proietta la sua luce argentata ma piena di scaltri fantasmi quando le stelle si nascondono tra le nubi. Due volontarie di nome Alice sono giunte in Ghana per fare un’esperienza di formazione nel campo della cooperazione allo sviluppo, tramite un programma dell’Università Cattolica di Milano. Il salto nel mondo reale, quello africano, lo si nota subito nelle mille domande e nelle piccole paure che si possono notare nei loro lineamenti quando guardano per la prima volta l’ambiente che le circonda. Le ho portate nella Terra di nessuno, il campo rifugiati liberiano di Accra, dove da quasi ventanni vivono i profughi della seconda guerra civile liberiana. Questa volta ci siamo addentrati fin dentro il suo ventre, nel posto più oscuro, che chiamano il Gap, buco, spazio vuoto in inglese, dove coloro che non hanno saputo aggrapparsi ai fili di speranza tessuti da qualche Ong o Organizzazione internazionale che lavorava nel campo profughi, letteralmente sopravvivono. Il posto sembra una piccola discarica, con lezzi che si alzano a seconda da dove spira il vento. La gente fuma marjuana liberamente ed è veramente qualcosa di eccezionale in Ghana, visto che è vietato fumare qualunque cosa in pubblico, figuriamoci della droga.
Vi sono anche coloro che chiamano Madman, pazzi. Sono persone che hanno qualche disturbo mentale, piccolo o grande, e che praticamente vivono per strada, o perché la famiglia li ha abbandonati oppure perché in preda alla loro follia hanno lasciato la propria casa d’origine camminando senza metà. A volte si dice che possano camminare per migliaia di km, magari la famiglia ancora li cerca ma essendosi spinti lontanissimo dalla loro casa non sono più in grado di ritornarci. Ovviamente non c’è nessun tipo di programma assistenziale per queste persone, sono completamente abbandonate a se stesse e vivono come cani randagi ai margini della società. Una di esse, una giovane donna seminuda e scalza, ci attraversa la strada, stringendo nella sua mano un pugno di riso raffermo che già vedendolo dalla distanza provoca disgusto, si porta la mano alla bocca e deglutisce quell’incommestibile pasto. In seguito dei ragazzi cercano di attaccare bottone con Alice&Alice, mentre altre persone ci vivisezionano con gli sguardi, a quel punto si è reso indispensabile uscire dal Gap dirigendosi verso il piccolo mercato del campo profughi. Una volta entrati nel mercato Alice&Alice si sentono più a loro agio ed iniziano ad interagire con la follla. La loro forte propensione all’ascolto ed a conoscere il diverso gli ha già permesso di apprendere alcune parole di Twi (lingua locale predominante) e sfoderandole in mezzo alla folla del mercato sono come parole magiche che fanno scoppiare le persone dal ridere e gli permettono di avanzare fra le cataste di cibo, ceste e pericolanti banchetti su cui è andagiata la merce, aprendosi un magico varco. Ripresesi dal viaggio nella cruda Terra di nessuno, ci siamo diretti in Brong Ahafo Region, per visitare e comprendere i progetti di sviluppo agricolo. Immerse nella natura ancora verde, grazie alla stagione delle piogge, interagiscono con essa, andando a caccia di tramonti e scoprendo nuove piante ed alberi alieni alla loro conoscenza. Non è facile trovare persone che sappiano dare attenzioni agli alberi, che sappiano rispetarli come se fossero grandi antichi saggi posti dal creatore per donarci frutti, ombra, riposo. In città come Berekum, possono rendersi conto della povertà estrema e della mancanza di servizi basici, come le fogne per esempio. Senza un adeguato sistema di acque reflue, epidemie di malattie come il colera si propagano molto facilmente. Incontrano molte persone che camminano per la strada, portando magari sporte o legna da ardere sulla testa per lunghi tragitti. L’eterno andare del popolo africano, un moto perpetuo che fa pulsare questo continente, rendendolo un’unica enorme ruota multicolore che cambia forma, lingua e costumi in una girotondo che ha della follia.
Anche in questo mondo ci sono banchetti degni del Cappellaio matto e come non invitare ben due Alici ad uno di esso? Tale banchetto è stato organizzato a casa del logista VIS, James Wood, in arte “Pope”, un migrante di ritorno che tentò di attraversare il deserto del Sahara. Nella sua modesta casa alle porte di Sunyani, ha riunito tutta la squadra, con l’intento di festeggiare l’arrivo di Alice&Alice e dargli il benvenuto. Il piatto tipico del banchetto è stato il fufu, polenta di yam (un tubero autoctono) accompagnata da zuppa di pomodori, capra, pollo e mucca. Alice&Alice sono state invitate non solo a mangiarlo, ma anche a contribuire a cucinare la polenta. Entrambe si sono cimentate nell’impastare il tubero con dell’acqua con l’ausilio di un enorme pesto, un lungo bastone che pigia e pressa il tubero stesso posto in una corposa e resistente bacinella di legno, facendolo diventare così una poltiglia omogenea. Una volta terminato il pestaggio del fufu, ci siamo raccolti attorno al tavolo, mangiandolo rigorosamente con le mani, senza l’aiuto di un cucchiaio. Un tavolo di folli che pensano di poter innescare processi per una vita migliore anche dove la povertà, la mancanza di diritti, l’apatia alla sofferenza attanagliano la fragile vita di molti. “Non c’è più tempo!” come direbbe il Bianconiglio, Alice&Alice devono tornare nel loro Paese delle Meraviglie. Chissà se parleranno del mondo in cui per un lasso di tempo sono vissute, delle creature, alberi e folli che hanno incontrato, di problemi ed ingiustizie che depradano questo mondo? Penso proprio di si. I loro occhi e la loro voglia di fare, di poter contribuire ad un cambiemento in meglio, mi confermano tutto ciò. Mentre noi ritorniamo al nostro lavoro, ai nostri banchetti dove ci riposiamo e pianifichiamo nuove idee, alle tristi incursioni nel Gap, dove vediamo e ci sporchiamo la faccia, i vestiti e l’anima di nera cenere di uno dei tanti inferni di questo mondo, penseremo ad Alice&Alice, ed ad un loro possibile ritorno in un paese che non avrà mirabolanti meraviglie, ma che sa ancora credere nelle persone e nel bene comune di ogni cosa ed essere vivente.